Tecnologia - 14 • 04 • 2020

di Gerardo Di Francesco 

“Isn’t it ridiculous and terrifying at the same time that we bring our cars to the car service at the moment that it indicates a problem, however, we don’t do that with our own signals? We don’t deal with them, or we don’t even know there was a sign”

The Medical Futurist

“Biometric monitoring would make Cambridge Analytica’s data hacking tactics look like something from the Stone Age. Imagine North Korea in 2030, when every citizen has to wear a biometric bracelet 24 hours a day. If you listen to a speech by the Great Leader and the bracelet picks up the tell-tale signs of anger, you are done for.”
Yuval Noah Harari

 

Da tempo la comunità InsurTech internazionale discute su rischi ed opportunità derivanti dalla sinergia tra tecnologia, monitoraggio biometrico e assicurazioni. Un interessante discussion paper dell’Institute and Faculty of Actuaries dal titolo “Wearables and the internet of things: considerations for the life and health insurance industry” a cura di A. Spender, C. Bullen, L. Altmann-Richer, J. Cripps, R. Duffy, C. Falkous, M. Farrell, T. Horn, J. Wigzell and W. Yeap (link documento integrale) ci restituisce in modo molto lucido lo stato dell’arte di questo dibattito. Partendo dalle tecnologie a disposizione e dalle loro applicazioni primarie (tab.1) il position paper passa in rassegna tutte le tipologie di dati ottenibili da wearables ed IoT fino ad illustrare diversi casi di applicazione commerciale degli stessi in ambito assicurativo (tab.2).

In sintesi una sinergia potente in grado di ottimizzare i processi di underwriting, customer engagement ed upselling. La natura non permanente dei wearable ed una scarsa penetrazione sul mercato sono tuttavia causa di frammentazione e disomogeneità nella qualità dei dati raccolti, criticità intrinseca al modello “wearable e assicurazioni” che ne minaccia una diffusione rilevante salvo che non si cambi il paradigma tecnologico. Un possibile superamento di questa criticità è costituito dai biosensori.

Un biosensore combina tipicamente un biocatalizzatore con un trasduttore fisico-chimico per produrre un segnale elettrico che viene amplificato, elaborato e visualizzato in lettura, possono presentarsi come kit diagnostici od essere applicati sotto forma di implant (tatuaggi e chip sottocutanei) o capsule ingeribili. Il mercato dei biosensori è pari a circa 20 miliardi dollari e quasi il 50% è costituito da kit diagnostici (tipicamente utilizzati per il monitoraggio dei livelli di glucosio nel sangue).

In questi mesi di crisi globale il dibattito internazionale sui biosensori è particolarmente acceso ed un’ipotesi di massiva diffusione di questi devices per contenere l’epidemia è su più di un tavolo governativo. Questo scenario, che fino a gennaio 2020 avrebbe ricordato al massimo la trama di una puntata di Black Mirror, pone sfide ed opportunità senza precedenti.

L’opportunità è quella di poter disporre di un monitoraggio proattivo e continuativo della salute pubblica potenzialmente in grado di porre in essere tempestivamente piani sanitari individuali o collettivi preventivi e predittivi. In questo contesto sarebbe inoltre possibile un trasferimento reale e mutualistico di quota parte dei costi afferenti la sanità pubblica al mercato assicurativo. Innescando un processo virtuoso volto al perseguimento di un miglioramento costante, sistematico e scientifico della salute dell’individuo promosso da istituzioni, aziende e società civile e costruito su dati, solidi, attendibili e immediati.

Le sfide sono chiaramente in ambito privacy e vertono su una nuova classe di dati la cui sensibilità è senza precedenti. Una sfida già in corso che pone sulle spalle delle aziende e delle istituzioni che già utilizzano dati provenienti da biosensori, tracking o dna sequencing, una responsabilità enorme.

Definitivamente un argomento destinato a sollevare un dibattito collettivo e trasversale molto acceso nel quale speriamo prevalga l’ascolto reciproco, il progresso e la tutela del consumatore.

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