Soci - 06 • 03 • 2021

Articolo di Rosanna Grano

Intervista a Simone Ranucci Brandimarte, Presidente di IIA e di Yolo: “Per fare innovazione, anche nel mondo assicurativo, è necessario abbandonare la propria comfort zone. Così potrebbe avere inizio una brillante stagione”


Febbraio, 2021

Scaltro giocatore di scacchi, assiduo frequentatore di musei e di mostre, è un divoratore di libri di ogni genere. Simone Ranucci Brandimarte, Presidente dell’Italian Insurtech Association e Presidente di Yolo, mi confida che, di libri, ne legge quasi centosessanta all’anno. “Soprattutto saggi, poi libri di scienza, di storia, di fisica e, naturalmente, di economia”.

Lo intervisto per il blog di Insoore, nello spazio che periodicamente dedichiamo ai protagonisti dei settori assicurativo, dell’innovazione e degli investimenti.
Simone Ranucci Brandimarte vive a Milano, il tempo migliore per lui è quello trascorso con sua figlia. “Con gli anni – dice – non sopporto più di perdere tempo. Faccio fatica a rilassarmi”. Quando gli chiedo se però capita pure a lui – come a tanti – che le idee migliori arrivino nei momenti in cui si prova a staccare, ammette che sì, succede anche a lui.

Insomma, è utile quel tempo che potrebbe sembrare poco produttivo.
“Sì, infatti. In questo senso, penso sia necessario rimettere un po’ in gioco i modelli di vita. Andare troppo veloci non è corretto. A mio avviso, in futuro le tecnologie ci permetteranno di rallentare, e dovremo imparare a goderci i momenti di pace, di tranquillità, di riflessione.”

So che le è cara una citazione di Einstein. “La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre”. Cosa vuol dire per lei aprire la mente in quello che possiamo considerare il suo ambito, cioè l’innovazione?
“Vuol dire non soffermarsi a prendere per acquisiti i fatti, le cose, gli eventi intorno a noi, ma essere, invece, in continua analisi di ciò che accade, perché quello che oggi facciamo in un modo forse domani lo potremo fare meglio, e quello che oggi non riusciamo a fare forse domani riusciremo a farlo. Per me, aprire la mente significa non smettere mai di migliorarsi e di pensare a come migliorare quello che ci circonda. Detto questo, sono convinto che l’analisi degli scenari in economia non sia un tema, ma uno state of mind. Devo ammettere che credo molto nella potenza del ragionamento e delle riflessioni.”

Quindi crede nella possibilità di riuscire a percepire dal contesto i segnali di un possibile cambiamento?
“Esatto. È fondamentale essere costantemente all’erta per cercare di captare come le situazioni si stanno evolvendo e come si possono elaborare – o persino anticipare – i cambiamenti. Ma per farlo, appunto, bisogna tenere la mente sempre aperta: non puoi immaginare una trasformazione se utilizzi sempre i medesimi schemi mentali. Nel campo dell’innovazione è fondamentale rimanere in ascolto e accettare di modificare il proprio punto di vista sulle cose. Innovare vuol dire riuscire a immaginare quello che ancora non c’è, ma che ci sarà.”

Le sarà capitato diverse volte nella sua carriera di trovarsi a intercettare degli importanti mutamenti o di essere persino protagonista attivo della costruzione di nuovi scenari.
“Sì, assolutamente. Per il lavoro che svolgo, è mio preciso compito cercare di capire, percepire e filtrare quelli che sono i possibili rinnovamenti e poi riuscire a interpretarli al meglio. Non si tratta, quindi, solo di una passione, ma anche di una mia responsabilità. Devo dire che per fortuna posso fare affidamento su una propensione personale, quella di riuscire a intuire cosa avverrà dopo.”

È un misto di esperienza e predisposizione.
“Sì. Io poi credo tanto nell’esercizio: è quello che fa la differenza. Saper mettersi in gioco, sul lavoro come nella vita, vuol dire moltissimo. Saper rinunciare allo status quo, alla propria comfort zone, è spesso doloroso. L’ignoto, si sa, ci spaventa, ci crea un senso di inadeguatezza e possiamo non sentirci prepararti per affrontarlo. Ma lo siamo, lo siamo sempre in fondo. Non dico certo che sia semplice abbandonare le proprie certezze per andare incontro all’incerto, ma ci si può allenare. Quando poi si è ormai abituati, è quasi impossibile rinunciare a farlo.”

E in Italia quanto siamo allenati?
“In Italia purtroppo poco. In generale, un grande problema che abbiamo è che non pensiamo con assiduità al futuro. Indro Montanelli diceva che gli italiani sono un popolo di contemporanei, senza antenati né posteri, senza memoria: non impariamo dal nostro ieri, non ci preoccupiamo del nostro domani, pensiamo costantemente al presente. Io sono convinto che, per intuire come le cose possano evolversi, sia necessario conoscere il passato. Il fatto che ci focalizziamo sul presente, magari spaventati dal rischiare, finisce col penalizzarci.”

Anche dal punto di vista degli investimenti?
“Certo. Dal punto di vista dello stile di vita, dal punto di vista sociale e, certo, pure dal punto di vista degli investimenti. Evidentemente non è vero per tutti, ma la media è assolutamente così. Il nostro approccio all’investimento nel futuro è a breve termine. Sostanzialmente, siamo abituati a pensare riferendoci a un arco di tempo che va dai due ai tre anni al massimo. Invece, dovremmo essere abituati ad avere una visione di maggiore respiro – soprattutto visti gli stravolgimenti tecnologici, di sistema e ambientali che ci attendono. L’Italia riuscirà a crescere ulteriormente quando saprà sostituire una visione di breve termine con una di lungo termine. E mi riferisco a ogni ambito: a quello delle politiche industriali, delle politiche economiche, delle politiche infrastrutturali, ai temi governativi e alla politica delle imprese. Quando avremo linee guida e programmi chiari su un arco temporale di almeno cinque o dieci anni, allora torneremo a crescere. Le dico di più: a quel punto, la visione di lungo periodo unita alla nostra inventiva, alla capacità che possediamo – e che ci riconoscono anche all’estero – di trovare un’opportunità nella difficoltà, farà la differenza sul panorama internazionale. Sono fiducioso: succederà. E succederà perché è evidente che l’approccio che abbiamo attualmente non paga e non può funzionare. Credo che, come è successo in tutte le epoche, una volta che si è toccato un livello molto basso, si riprende a crescere.”

Quali fattori possono determinare o innescare questo processo di ripresa?
“Il primo è lo stato di impoverimento generale in cui siamo piombati. Non voglio essere duro, ma allo stato attuale osserviamo un impoverimento economico – lo vediamo nelle singole famiglie – , un impoverimento intellettuale – e lo vediamo dalle abitudini medie dei giovani e dei meno giovani – , e un impoverimento a livello di agenda complessiva. Da questo stato di impoverimento penso, e mi auguro, emergerà una reazione, un nuovo Rinascimento economico e intellettuale. Esattamente come al Medioevo, periodo oscuro, è seguita una fase brillante, ricca di spunti. Il secondo fattore, in cui ripongo molta speranza, è l’avvento delle tecnologie. Le tecnologie stanno cambiando il modo in cui intendiamo la nostra vita, progettiamo il nostro futuro e stabiliamo le nostre priorità. L’intelligenza artificiale ci sta aiutando a risolvere problemi che non siamo in grado di risolvere, per esempio. Questo ci permetterà di vivere in modo diverso e di creare nuovi scenari. Ecco, considerando che l’Italia è piena di risorse, e che il livello di queste risorse – artistiche, culturali, intellettuali, umane – è molto alto, se non perdiamo l’appuntamento con la trasformazione tecnologica in atto, potremo avere delle grandi occasioni. Io credo fortemente in questo nuovo Rinascimento di matrice tecnologica che sta per arrivare.”

In Italia e nel resto del mondo, saremo bravi a gestire la tecnologia e a non farci travolgere?
“Dovremo esserlo. La tecnologia può davvero modificare in meglio il nostro modo di vivere. Per esempio, potrebbe restituirci tempo perché si occuperà di risolvere per noi questioni che oggi ci richiedono molto impegno. Ci offrirà opportunità lavorative diverse, e soprattutto sarà un elemento a disposizione di tutti che potrà portare a non differenziare più un Paese dall’altro. Lo sviluppo della tecnologia può significare anche un livellamento da un punto di vista geografico. Che non è un livellamento culturale, ma vuol dire mettere a disposizione di tutti gli strumenti tecnologici. Per l’Italia, per esempio, questa sarà una leva in più verso l’innovazione, perché a quel punto non dovremo più chiederci se utilizzare o meno la tecnologia, perché sarà a disposizione di tutti. Così, le problematiche tipiche dello Stato italiano, come la burocrazia, la difficoltà di agire come sistema, l’individualismo, non saranno più limiti, ma questioni che riusciremo a superare semplicemente facendo leva su nuove opportunità tecnologiche. A livello concreto, penso a nuovi modelli applicativi, ai grandi marketplace per l’export, all’intelligenza artificiale a supporto dei settori produttivi e delle industrie tipiche italiane. Le tecnologie premieranno molte geografie.”

Quali tecnologie, a suo avviso, saranno decisive nel futuro?
“Mah, sicuramente l’intelligenza artificiale, che per la sua capacità computazionale ci metterà nelle condizioni di risolvere problemi che non siamo ancora in grado di risolvere, e di analizzare dati che non siamo ancora in grado di vedere. Per l’Italia, che come dicevamo non ha una particolare propensione a proiettarsi nel lungo periodo e a prevedere quello che sarà, l’intelligenza artificiale può essere una tecnologia da sfruttare assolutamente. Poi, tutta quella tecnologia legata alla salute, alle modalità di prevenzione, di monitoraggio e di supporto personale, che consentirà di aumentare l’età media e la qualità della vita. Questo porterà con sé un fondamentale cambio di mindset per tutti. Il terzo filone a livello tecnologico che credo determinerà grandi trasformazioni è l’Internet of Things, cioè la possibilità di collegare tutto e tutti in rete. Detta così può sembrare una cosa alienante, in realtà ci permetterà di creare ecosistemi facilmente controllabili, molto più efficienti, che possono funzionare meglio e ci possono restituire più tempo per fare altro.

La quarta, e a mio avviso la più importante, area di innovazione dei prossimi vent’anni, che stravolgerà totalmente, molto più delle altre, la nostra visione è la conquista dello spazio. La quantità di scoperte e di prese di coscienza in questa direzione che si avranno nei prossimi vent’anni modificheranno totalmente il modo in cui ogni singolo individuo vedrà se stesso. Ci renderemo conto che siamo parte di qualcosa di molto più grande, articolato e complesso di quanto pensiamo.”

Alcune di queste tecnologie contribuiranno alla mutazione degli scenari assicurativi. Ad esempio, l’intelligenza artificiale promette di avere un ruolo determinante nella gestione dei sinistri, l’Iot, tra le altre cose, aiuterà le assicurazioni ad avere un ruolo predittivo. Parlare di questi temi è di certo fondamentale e se ne sente l’esigenza. A testimoniarlo, ci sono gli importanti risultati che in un solo anno di vita l’Italian Insurtech Association ha raggiunto, superando le previsioni di iscritti e riuscendo a organizzare centinaia di eventi sempre molto partecipati dai protagonisti del settore.
“L’industria assicurativa è all’inizio di una rivoluzione epocale. Per tre fattori. Il primo riguarda i nuovi bisogni che stanno emergendo: nuovi ecosistemi generano nuovi rischi, naturalmente. Mi vengono in mente, per dirne alcuni, la mobilità urbana con le vetture a guida autonoma o indipendente, la sharing economy, la conquista dello spazio. Tutte cose ancora non coperte da modelli di rischio e che devono essere oggetto di analisi. Analisi che, certo, richiedono un grande supporto da parte del settore assicurativo. Il secondo ha a che fare con le tecnologie che permettono di migliorare la capacità di analizzare sia i consumatori che gli utenti nel rapporto assicurazione-cliente. Mi riferisco all’Iot, all’intelligenza artificiale, sostanzialmente a tutto quello che concerne l’analisi dei Big Data. Il terzo elemento fondamentale è la crescita del consumatore digitale. Il consumatore vuole interagire tramite canali online, prevalentemente. L’industria assicurativa non può ignorare questa richiesta, deve fare un salto e lo deve fare velocemente. L’Italian Insurtech Association, che è nata nel 2020, si pone come obiettivo quello di supportare il mondo assicurativo nell’accelerare questo processo. In che modo?Tramite divulgazione, formazione, ricerche, tramite rappresentanza della community insurtech presso le istituzioni, tramite supporto operativo a tutti gli associati nello sviluppo delle tematiche che possono agevolare la loro crescita. Devo dire che abbiamo avuto un discreto successo. Sia in termini di attenzione, che di adesioni e di risultati concreti. Partendo dal nostro manifesto di tredici punti programmatici, presentato a maggio scorso, abbiamo a oggi coperto undici dei tredici punti, e stiamo lavorando agli altri due. Entro maggio, quindi entro un anno, riusciremo a completare il lavoro che ci siamo prefissi di fare. E poi, ovviamente, andremo avanti.”

Avete appena presentato l’Insurtech Innovation Index.
“Sì, riteniamo sia molto importante quando si ha a che fare con un fenomeno nuovo analizzarlo e misurarlo. Qualsiasi cosa che non sia misurabile non esiste. Così, circa sei mesi fa abbiamo iniziato un’attività di monitoraggio e analisi, in collaborazione con il Politecnico di Milano, finalizzata a definire quello che chiamiamo l’Insurtech Innovaton Index, che è sostanzialmente la quantificazione reale del mercato insurtech. Per quest’anno il risultato arriva alla sufficienza, 18/30: ci sono segnali positivi di crescita, ma serve una forte accelerazione degli investimenti per non rischiare che si crei un technology gap. Ogni anno faremo le misurazioni, in modo da poter capire come la nostra industry si sta muovendo, se gli investimenti aumentano e se aumentano in linea con quelle che sono le aspettative internazionali.”

Perché un investitore dovrebbe scegliere di investire in startup insurtech?
“Perché fra i principali settori emergenti, l’insurtech sarà uno dei rami catalizzatori. Nel 2020 sono stati investiti quasi 7 miliardi di dollari in insurtech. Le previsioni al 2023 parlano di 35 miliardi di dollari. Il che significa che ci sarà una crescita incredibile di investimenti in questo settore. Ma perché? Perché se un’industria come è quella assicurativa si sta digitalizzando a livello internazionale, ci saranno opportunità enormi per i nuovi entranti. È per questo che l’azienda insurtech sta fiorendo. Va da sé, quindi, che rappresenta sicuramente una grande opportunità per gli investitori.”

Nel report annuale dell’IIA è stato rilevato come durante il 2020 – complice anche l’emergenza Covid – sullo scenario insurtech italiano sia comparso un alto numero di nuovi consumatori digitali, di nuovi player e un nuovo ecosistema nato in conseguenza del fatto che bisognava rispondere a una domanda crescente di servizi in digitale. Si tratta di un’enorme opportunità. Eppure, sembra esserci un gap tra crescita della domanda e investimenti nel settore. Quali sono gli elementi che a suo avviso hanno determinato questo divario?
“Nel 2019 il gap era abbastanza significativo. In quell’anno il consumatore digitale era circa il 30% del totale del target assicurativo. Abbiamo avuto circa 15 milioni di euro investimenti in startup insurtech. Nel 2020 questo gap si è allargato, perché il consumatore digitale è salito in proporzione -è arrivato a circa il 35% – , gli investimenti si sono ridotti a 8 milioni. Quindi invece di colmarlo, lo stiamo allargando. È assolutamente necessario aumentare gli investimenti, la creazione di formazione e competenze, la sperimentazione. Per quest’ultimo aspetto in particolare, è necessaria una maggiore collaborazione tra grandi aziende e startup. Il 2021 è stato ribattezzato dall’Italian Insurtech Association l’”Anno dell’Insurtech”. Dobbiamo fare in modo che la industry investa, crei competenze e sperimenti. Deve accadere quest’anno, altrimenti siamo in ritardo.”

Cosa possono fare le startup dal loro punto di vista per incentivare le partnership con le compagnie?
“Le startup devono innanzitutto proseguire a insistere sui punti fondamentali del trasformazione della industry: chiedere e richiedere maggiori investimenti, supportare lo sviluppo di competenze interne e delle compagnie tramite contaminazione e collaborazione, e supportare le compagnie nella sperimentazione. La sperimentazione è una conditio sine qua non per fare innovazione. Non è facile, certo, ma le startup non devono arrendersi e devono continuare questo forte processo di education, pretendendo di essere finanziati con capitali importanti. Le startup devono mettersi al servizio del sistema, ma devono anche pretendere capitali.”

Dal suo osservatorio, c’è una disponibilità da parte delle compagnie in questa direzione?
“Nel 2019 si stava diffondendo maggiore convinzione, nel 2020 questo processo si è un po’ rallentato.”

E prevede un’accelerazione nel 2021?
“La auspico. Come IIA, la raccomandiamo. Vediamo già da ora i rischi a cui si andrà incontro se non accadrà.”

Come associazione, siete molto attivi nell’ambito della formazione.
“Abbiamo lanciato tantissime iniziative di formazione, ne ricordo giusto alcune. Il primo Master Insurtech con Sole 24 Ore Business School, la Tech Education Academy, che è la prima accademia di formazione su tematiche digitali e tecnologiche in ambito assicurativo. E poi ancora, il master con il Silicon Valley Innovation Center per Executives. E poi organizziamo corsi di formazione ad hoc per grandi aziende.”

Chi assolutamente dovrebbe partecipare alle vostre iniziative di formazione?
“Nel mercato assicurativo ci sono oltre 400 mila dipendenti, e 300 mila professionisti si contano tra provider e fornitori. Le nostre iniziative si orientano in tre direzioni. Quelle che si rivolgono a tutti coloro che vogliono migliorare la loro competenza. Poi ci sono quelle pensate per chi ha ruoli manageriali in ambito insurance. Infine, quelle destinate a tutta la filiera assicurativa: agenti, broker, impiegati. Sì, insomma, a tutti quei professionisti che non avrebbero autonomamente tantissime opportunità di crescita in ambito tecnologico-digitale, noi gliele offriamo.”

Insoore, come sa, opera nell’ambito del claims management. Quali sono i trend che come associazione avete individuato nel campo della digitalizzazione della gestione dei sinistri?
“Indubbiamente una svolta è costituita dalla comparsa di nuovi player come Insoore, specializzati, organizzati, capaci e dedicati. La vostra realtà offre innovazione, valore, organizzazione ed efficacia a un’industria vecchia che non si è mai evoluta. Ha, insomma, un ruolo molto importante. Le innovazioni nel claims management riguarderanno l’automazione dei processi, che permette di gestire tutto in maniera automatizzata. Un altro spazio significativo sarà occupato dalla diffusione della crowd economy.”

Tra i diversi e prestigiosi incarichi che ricopre, c’è quello di Presidente di Yolo, player innovativo nato nel 2017 e che ricopre un ruolo da protagonista nello scenario insurtech. Ci può raccontare qualcosa di più sull’azienda e sugli obiettivi futuri che si prefigge?
“Yolo nasce come player che è in grado di supportare le compagnie nell’elaborazione e nella distribuzione di progetti e prodotti nuovi, digitali, pensati per il consumatore digitale sul mercato. Fa da connettore tra le compagnie e i tanti distributori che prima non erano presenti nel mondo assicurativo, ma che ora stanno arrivando. Quindi: banche, telcos, utilities, e-commerce, retailer. Tutti quelli che vogliono aggiungere una o più offerte assicurative alla propria offerta core. Yolo è una platform company che unisce prodotti assicurativi con canali distributivi. Due elementi sono importanti. Il primo è la capacità tecnologica di servire e integrare le grandi compagnie con i distributori. Il secondo riguarda i prodotti, che costituiscono un’offerta diversa da quella del mondo assicurativo tradizionale e che nasce e si evolve in linea con le esigenze del consumatore. Faccio un esempio: i nostri prodotti sport non sono mensili, ma sono giornalieri. Tutti i prodotti si basano sulla domanda reale del consumatore. Noi seguiamo il consumatore digitale e aiutiamo le compagnie a realizzare un’offerta nuova e a distribuirla nel modo giusto. Come è ovvio, se creiamo un prodotto smartphone, andiamo a distribuirlo nel momento in cui il consumatore ha bisogno di comprare un’assicurazione per lo smartphone: per esempio, all’acquisto o in caso di viaggio. Siamo inoltre in grado di andare a proporre il prodotto giusto, al cliente giusto, nel momento giusto. Siamo cresciuti molto. A oggi, abbiamo integrato quasi venti compagnie assicurative, quasi centro distributori in Italia e in Spagna. Stiamo guardando con interesse allo sviluppo internazionale: in Gran Bretagna e nell’Est Europa.”

In quali ambiti le polizze istantanee vengono più richieste?
“La mobilità urbana, lo sport, il travel. Sono ambiti che durante il Covid evidentemente hanno avuto un contraccolpo. Gli oggetti personali, le polizze salute pay per use, gli infortuni personali, le polizze per le aziende. Di domanda ce n’è tanta, nonostante la pandemia, nel 2020 abbiamo venduto più di trecentomila polizze, nel 2019 ne abbiamo vendute quasi centomila.”

E in quale fascia d’età sono maggiormente diffuse?
“Mediamente giovane, devo dire. Nel 62% si tratta di persone fino a 38 anni, quindi Millennials, nel 28% fino a 52 e nel 10%oltre. Quindi mediamente giovani. Non è la classica età media di un assicurato in Italia, ecco.”

Persone e ambiti prima forse meno raggiungibili o non assicurati.
“Sì, esatto. Nel 2019 abbiamo venduto quasi 19 mila polizze sport, di questi il 97% non aveva mai sottoscritto una polizza sport. Perché? Perché noi facciamo polizze giornaliere, mentre le polizze annuali non se le comprava nessuno: costano troppo e sono fastidiose.”

Cosa spera per l’IIA nel 2021?
“Mah, io auspico che i numeri di crescita del mercato insurtech aumentino in modo oggettivo, chiaro e misurabile. E mi aspetto che la industry non solo cresca, non solo si sviluppi creando grandissime opportunità  di lavoro, sviluppando competenze e dando sicurezza a tantissime persone, ma che riconosca anche all’Italian Insurtech Association un ruolo di catalizzatore nello sviluppo. La cosa più importante per me è che tutta la catena degli intermediari, tutti coloro che lavorano nell’ambito assicurativo e non conoscono bene il digitale e le tecnologie, capiscano velocemente che la tecnologia non mette a rischio la loro professionalità o limita le loro opportunità . Anzi. Il mondo assicurativo digitale sarà  un driver per creare nuova pubblicità e per formare competenze che già ci sono ma che devono crescere. La tecnologia sarà  un’opportunità per tutti gli agenti, tutti gli intermediari, tutti gli impiegati della filiera assicurativa che potranno migliorare le loro competenze, il loro business, la loro posizione economica e le opportunità in generale.”