Che cosa insegna il caso Lemonade 16 • 06 • 2020 di Simone Ranucci Brandimarte, Presidente IIA Lemonade, società americana con base a New York, considerata una dei principali player globali dell’insurtech, si prepara alla quotazione in Borsa. Tempi e condizioni dell’offerta dipenderanno, come sempre, dalle condizioni di mercato, ma gli analisti ne stimano già il valore: tra due e tre miliardi di dollari. Lo scorso anno Lemonade ha chiuso un round di finanziamento di 300 milioni di dollari, guidato dalla banca giapponese SoftBank, al quale hanno partecipato Allianz, General Catalyst, OurCrowd, Thrive Capital e GV, branch del venture capital di Alphabet, la holding che controlla Google. Nata nel 2016, Lemonade, che conta 329 dipendenti e attività in 28 stati americani, Germania e Paesi Bassi, ha profondamente innovato il business assicurativo (dal product design alla gestione della relazione con il cliente) attraverso algoritmi e soluzioni digitali e si è distinta nella velocità di gestione dei sinistri: nel 2017 annunciò di aver indennizzato un cliente in appena tre secondi. Lemonade ha chiuso il bilancio 2019 con un risultato negativo per 108,5 milioni di dollari, più del doppio rispetto alla perdita di 53 milioni di dollari dell’anno precedente. Le cose non sembrano essere migliorate nel 2020: nei primi tre mesi, Lemonade ha messo a bilancio una perdita 36,5 milioni di dollari, oltre il doppio rispetto ai 21,6 milioni di dollari del 2019. Come spesso capita agli operatori fortemente innovativi, le perdite sono originate dagli investimenti per creare e sviluppare il modello di business, dotarsi di asset strategici (tecnologie, algoritmi) e definire processi capaci di sostenere nel tempo il vantaggio competitivo e la crescita. I risultati di bilancio sono quindi l’esito di una strategia che ha portato l’azienda a conquistare un nuovo mercato. L’IPO è parte di questo percorso. Qualcosa del genere era accaduto ad Amazon: undici anni di perdite ininterrotte per miliardi di dollari, poi la generazione di profitti immensi e l’ingresso tra le tre capitalizzazioni top al mondo. Furono in molti, nei primi cinque anni post IPO, a rimproverare Amazon per i numeri scadenti: non si credeva nella new economy e quindi neppure a Google o a Facebook. Sono, forse, gli stessi per i quali i milioni di clienti generati oggi da banca N26 o la crescente penetrazione delle auto elettriche di Tesla non giustificano centinaia di milioni di perdite. Il caso Lemonade, come altri che l’hanno preceduto nell’epoca, da poco iniziata (non va dimenticato), della rivoluzione digitale, dicono semplicemente che per creare asset e competenze tecnologiche distintive bisogna investire tanto, sperimentare e avere un orizzonte almeno quinquennale. Metriche e modelli di valutazione degli investimenti devono tenerne conto. Lemonade ha investito e continuerà a investire molto nell’innovazione per crearsi un vantaggio competitivo di medio periodo nell’insurtech. E’ un percorso che creerà valore per i consumatori oltre che per gli azionisti. Secondo gli analisti, Lemonade vale oggi tra 2 e 3 miliardi di dollari, ben al di sotto quindi dei grandi storici player del mercato assicurativo globale, ma se ripercorriamo le performance nell’ultimo decennio degli unicorni del Nasdaq (le società che hanno superato un valore in Borsa di un miliardo di dollari) non è azzardato prevedere che, tra non molto, i valori possano avvicinarsi. Le storie di Google (contenuti), Amazon (commercio elettronico) e Paypal pagamenti), con i cambiamenti che hanno determinato vanno guardate con attenzione dagli storici operatori del mercato assicurativo. I leader dei big player di Media, Content e Retail di fine anni Novanta possono essere perdonati per non aver investito abbastanza nel digitale perché, forse, non c’erano abbastanza evidenze di quel che stava accadendo. Anche gli incumbent del banking di dieci anni fa, quando ebbe inizio il fintech, potrebbero essere perdonati per non aver reagito rapidamente. I leader dell’industria assicurativa, con queste evidenze sotto gli occhi, sarebbero meno perdonabili se perdessero quote di mercato per non avere investito adeguatamente nella digitalizzazione e nella revisione dei modelli di business. Stili di vita e di consumo sono cambiati molto e rapidamente negli anni recenti. L’industria dei servizi bancari e finanziari ha risposto innovando l’offerta di prodotti e di servizi, l’industria assicurativa non lo ha ancora fatto, o non nella misura adeguata al cambiamento. Per essere competitivi domani, bisogna investire oggi. E’ un’operazione che, auspicabilmente, dovrebbe coinvolgere tutti gli attori del sistema: non solo le imprese, ma anche gli stakeholder, quindi anche gli investitori individuali perché la generazione della ricchezza futura passa necessariamente dall’investimento nell’innovazione digitale. L’Italian Insurtech Association intende promuovere e contribuire a questa operazione con tre finalità: evitare che i player Italiani dell’industria assicurativa siano travolti dai giganti internazionali, come è avvenuto in altri settori; far crescere, in Italia, altre Lemonade che lavorino insieme con le compagnie e per le compagnie al fine di creare valore insurtech per i consumatori e investitori; creare un ecosistema in cui sia chiaro come investimenti in insurtech non rappresentano costi, ma fondamenta che abilitano i risultati domani, in termini di esperienza, assets e competenze. Per gli attori dell’industria assicurativa, la quotazione di Lemonade dovrebbe suonare come una chiamata alle armi, l’evidenza tangibile che, di qui a pochi anni, la digitalizzazione cambierà gli equilibri. Si decide oggi chi ci sarà domani.